Sommario
- Rodolfo Galati, il docente che azzera il distanziamento sociale.
- Perché hai scelto di diventare insegnante?
- Poi ti sei ritrovato a ricoprire anche un ruolo nell’università
- Ammiro molto questo approccio. Mostri alle persone tante sfaccettature dell’insegnamento
- Come hai vissuto questo ultimo periodo?
- Sono d’accordo, ci sono dei piccoli momenti di socialità dal vivo che vanno tutelati. Voglio farti un’altra domanda. Cosa hai imparato dai tuoi studenti?
- Una bella osservazione. D’altra parte l’ascolto è la prima forma di comunicazione. A questo punto ti chiedo come fai a far nascere la scintilla nei tuoi studenti?
- Qual è il messaggio che vuoi lanciare alla scuola del futuro?
Non si ferma il ciclo di interviste “Docenti presenti” realizzate in collaborazione con Orizzonte Scuola. Questa rubrica nasce con l’intento di incontrare i protagonisti del mondo scolastico e sentire la loro voce su tanti temi. Oggi incontriamo Rodolfo Galati. Conosciamolo meglio.
Rodolfo Galati mi ha colpito per il suo spiccato lato umano e scoprire questo aspetto degli insegnanti è la missione di questo format.
Rodolfo è un grande sorriso.
La sua ironia è travolgente, tanto da arrivare oltre lo schermo e contagiarti.
Ha insegnato per molti anni nella scuola primaria e ora il suo percorso si è evoluto, portandolo all’università, nella facoltà di scienze della formazione primaria.
Forse sarà banale, ma si considera un fortunato a svolgere un lavoro sociale, che lo porta a stare in mezzo alla gente.
Mi dice una cosa forte: non esiste distanzanziamneto sociale, un concetto che nostro malgrado abbiamo sentito troppo spesso nell’ultimo anno, esiste solo un distanziamento fisico, perché la socialità può esistere ugualmente e l’empatia può superare ogni limite e barriera.
Mi racconta che non gli pesa la distanza, tuttavia gli manca la tridimensionalità degli individui e che, quando le incontra per strada, si gode lo spessore delle persone.
Perché hai scelto di diventare insegnante?
Credo sia stato un caso ritrovarmi a svolgere questa professione.
Da ragazzo ho frequentato l’istituto magistrale, che ti indirizzava già verso questa strada. Quando sono entrato per la prima volta in una scuola in qualità di supplente mi sono rivisto nel passato, quando ero un alunno discolo.
Si può dire che ho fatto disperare tanti insegnanti e quando mi sono ritrovato dall’altra parte ho cercato di non ripetere il grande errore che i miei docenti facevano con noi alunni: non comprendere gli studenti e non costruire delle relazioni con loro.
Ricordo che addirittura dicevo a mia madre, quando ero piccolo, che avrei voluto essere un gatto per non dover andare a scuola.
Poi mi sono ritrovato ad essere un docente, e mia madre non perdeva l’occasione per ricordare di quando nella scuola non ci volevo stare.
Poi ti sei ritrovato a ricoprire anche un ruolo nell’università
Quello è stato un percorso abbastanza naturale che non ho percepito come un cambiamento. Di fronte hai sempre persone, solo un pò più grandi rispetto ai bambini.
Quello che cerco di mantenere è il rapporto giocoso con gli alunni.
Ammiro molto questo approccio. Mostri alle persone tante sfaccettature dell’insegnamento
Quello che penso quando ho di fronte una classe, ribadisco, che vedo le persone e solo dopo lo scopo che abbiamo e che insieme alla classe dobbiamo perseguire.
La vera sfida degli insegnanti, prima della didattica e della pedagogia, è costruire solide relazioni con i suoi studenti.
Io stesso avrei voluto un rapporto empatico con i miei professori. È quel rapporto che ti dà la motivazione.
Come hai vissuto questo ultimo periodo?
Credo di averlo vissuto, come molte persone, con tanta paura. Forse la paura che ho provato è stata un’emozione molto forte che mi ha permesso di ragionare sul significato e sul valore dei rapporti umani.
Quando sei insieme alle altre persone la paura si stempera, è meno forte. La mia fortuna è stata quella di continuare a lavorare da subito con i colleghi.
Non finirò di ribadirlo, ho trovato tanta umanità e non mi sono mai sentito solo, nemmeno a distanza di uno schermo.
Il paradosso è che quest’anno ha avuto anche dello straordinario. Ho fatto molti più eventi, riunioni che mi hanno permesso di incontrare ogni giorno tante persone.
Quello che mi è mancato sono stati i momenti di pausa da condividere.
Ora in pausa spegni la webcam.
In presenza l’intervallo significa socialità.
Credo di aver imparato il mio mestiere dagli studenti.
Sembrerà esagerato, ma è così. Ho sempre cercato di mettermi nei panni degli alunni, fare in modo di fare gruppo, di diventare una squadra.
E in questi gruppi che si creavano, ho imparato ad ascoltare, a tacere la mia voce per ascoltare quella degli altri.
Una bella osservazione. D’altra parte l’ascolto è la prima forma di comunicazione. A questo punto ti chiedo come fai a far nascere la scintilla nei tuoi studenti?
Ti racconto che io ho sempre cercato nella scuola il fattore esperienza. Credo la scintilla negli alunni nasca da qui, dalla voglia di fare esperienza. Ogni alunno che ho incontrato andava a cercare il proprio ruolo nelle attività fatte insieme, nelle esperienze che proponevo. Ho sempre promosso il lavoro cooperativo, il lavoro di gruppo, il gioco di squadra e credo che questo sia il movente che spinge le persone a trovare la propria scintilla, e quindi il proprio ruolo in un team.
Credo che questo colpisca. Recentemente mi ha cercato un’ex alunna per chiacchierare. per me è stato un regalo straordinario.
Qual è il messaggio che vuoi lanciare alla scuola del futuro?
Continuare a ricercare. Mi auguro che ogni insegnante del presente si comporti già come se stesse vivendo la scuola del futuro, così da essere già ora partecipi e visionari.
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Grazie di aver incrociato questa storia.
Daniele